L'Editoriale

Ricordo ancora gli spot delle Barbie: la casa con l’ascensore, la decapottabile con lei al volante e Ken di fianco mentre guidavano verso il tramonto insieme. Non erano semplici giocattoli, rappresentavano una fantasia, la promessa di un mondo da vivere.
Da bambina, credevo alla pubblicità. La mia convinzione era che gli adulti non mentissero. Perché avrebbero dovuto? Nonostante le merendine non fossero soffici o ripiene di cioccolata come veniva mostrato negli spot televisivi, ero irremovibile nella mia convinzione.
Da adolescente, ho continuato a credere alla pubblicità. La mia convinzione era che gli adulti non avrebbero mai avuto il coraggio di ingannarmi o professare mezze verità. Nella mia testa, la “polizia della verità” era sempre pronta a stanare bugie, omissioni e a punire i malfattori.
Da adulta, comprendo perché mia madre si riferisse al mio idealismo come a una condizione medica.

BUGIE & CO.

Il mondo delle pubblicità è cambiato, come ogni altro aspetto della nostra vita quotidiana, si è adattato alla realtà modulata dalle nuove tecnologie. I confini fra apparenza e realtà son sempre più labili e l’assunzione di un’immagine pubblica rischia di sostituire la nostra personalità anche nella sfera privata.
Come reazione, le campagne pubblicitarie hanno cominciato a muoversi in direzioni opposte reclamando per sé una dimensione più realista e intimista. Il consumatore medio è molto più informato, presta attenzione a dettagli che prima non avrebbe considerato sviluppando una certa resistenza nei confronti delle vecchie tecniche di convincimento e seduzione. Le sfumature sono determinanti e fanno la differenza: dal packaging, alla disposizione sugli scaffali, ai suggerimenti online, lo studio accurato dietro ogni elemento traspare. Gli addetti ai lavori si avvalgono di questa maggiore consapevolezza, e costruiscono un legame con l’interlocutore basato sul rispetto e onestà reciproca, ideando campagne che siano ironiche e creative, capaci anche di stimolare un dibattito.
La tendenza che stiamo vivendo è quella di mettere in dubbio gli stereotipi a cui siamo abituati, dai canoni di bellezza ai luoghi comuni riguardo al successo. Le modelle non sono più la classica “taglia zero”, l’uso di Photoshop viene spesso criticato a favore di un approccio più onesto e sincero nei confronti delle imperfezioni e degli aspetti della vita quotidiana. Siamo intrappolati in una dinamica fra essere e apparire. Da una parte c’è il fascino e la libertà di abbracciare la nostra natura, scrollandoci di dosso le aspettative del mondo esterno, dall’altro, proviamo a vivere le fantasie di natura infantile che conserviamo da quando, di fronte alla televisione, le pubblicità dei giocattoli ci riempivano gli occhi di meraviglia.

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I confini fra apparenza e realtà son sempre più labili e l’assunzione di un’immagine pubblica rischia di sostituire la nostra personalità anche nella sfera privata.