L'Editoriale

Caro papà, ricordi il giorno in cui siamo entrati per la prima volta nella segreteria dell’Università? Quel giorno sembrava che i miei sogni non avessero limiti, che il mondo non avesse confini e che potevo tenerlo tutto tra le mani. Pensavamo che avrei fatto grandi cose, che avrei esploso le mie potenzialità, che avrei avuto la mia chance e avrei trovato lo spazio per dare il mio contributo alla società. Che bel momento, papà! Mi sentivo invincibile e accanto a me avevo l’uomo che mi aveva dato tutto, che credeva in me oltre ogni ragionevolezza e che io avrei reso fiero e orgoglioso con il mio cammino su questa terra. Oggi, da qui papà, leggo cosa succede nelle Università italiane, rifletto, capisco e realizzo perché sono così lontano da voi e vederci è così complicato, perché non posso aiutarvi adesso che avete bisogno di me e perché non potete stare accanto ai vostri nipoti. È uno strappo papà, la separazione è drammatica quando non la vuoi, ma anche se così lontano da casa, in un luogo opposto della Terra, ti ho dimostrato che quelle potenzialità sono esplose e che avevamo visto giusto, posso fare grandi cose. Non so se il mio è un cervello in fuga, ma so che qui posso meritarmi ogni
giorno il mio lavoro, posso meritare di essere vostro figlio e il padre dei miei meravigliosi bambini. Posso non sentirmi precario, posso affermare me stesso, posso lavorare per avere merito e non per darlo ad altri. So che ti dispiace papà, ma l’ho fatto anche per te. Siamo distanti, ma siamo fieri ed orgogliosi. La nostra Italia è bellissima, ma sono stato sfortunato e non ho trovato il mio spazio. Ce n’era poco e probabilmente era già prenotato; forse non era una questione di merito. Grazie, papà. Ci siamo presi le nostre soddisfazioni e continueremo a farlo. Ieri sera scrutando il cielo, abbiamo trovato una nuova stella. Io gli ho dato il tuo nome, papà.

Imposta la destinazione e ricalcola il percorso

La Meritocrazia è una parola che riempie la bocca. Coniata dal sociologo Michael Young negli anni ’50, originariamente aveva valenze negative ma la definizione si è evoluta fino a quella che conosciamo: l’assegnazione di cariche e incarichi in base alla preparazione e competenze del candidato piuttosto che alle sue connessioni con insiders. In Italia, non sono pochi i casi di persone preparate che sono state scartate per l’assegno di una borsa di dottorato, per una cattedra nell’educazione pubblica perché altri candidati sono stati favoriti in virtù di un rapporto clientelare. Quando determinati episodi sono riportati da stampa locale e/o nazionale, ci si lascia andare allo sdegno, si dichiara guerra al sistema corrotto nel quale viviamo ma sono sentimenti che durano poco. Nel momento in cui un individuo prova a cambiare lo status quo è più probabile che incontri disprezzo piuttosto che supporto. Dopotutto, la palude non ci dispiace. La situazione è critica e i millennials sono allo sbando. Abbiamo dovuto aggiustare il tiro delle nostre ambizioni perché, l’esperienza delle generazioni precedenti non rappresenta più l’attuale modello di vita né di carriera lavorativa. Siamo, molto spesso, una generazione di nomadi costretta a spostarsi da un capo all’altro della nazione, o da un paese all’altro all’interno di una comunità alle prese con spinte indipendentistiche. Siamo cresciuti facendo nostri gli ideali di fratellanza che auspicavano l’abbattimento dei confini, convinti di poter realizzare sogni e ambizioni in una società unita, ma siamo costretti a confrontarci con una realtà politica ed economica che si sta sgretolando sotto i nostri occhi. L’ideale che ci vedeva vincere sulla competizione grazie ai meriti e alla preparazione accumulata dopo anni di studio e di esperienza, ha lasciato il passo alla consapevolezza di dover fare i conti con i compromessi quotidiani. Nell’Italia di oggi, siamo un gettone da spendere in tempo di elezioni politiche, ma la classe dirigente non sembra voler cambiare la distopia che tentiamo di combattere un contratto determinato alla volta. “La vita è piena di scelte difficili, non te l’hanno detto?” … ma questa è un’altra storia

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Nel momento in cui un individuo prova a cambiare lo status quo è più probabile che incontri disprezzo piuttosto che supporto